
IL FORZIERE NASCOSTO
Febbraio 2021, siamo stanchi. Dobbiamo avere il coraggio di confessare questa verità.
Ormai è passato un anno dall’inizio dell’incubo COVID-19. Obbligati a respirare la propria anidride carbonica dentro le mascherine senza valvola perché non rispettosa degli “altri”; obbligati a tenere la distanza dai nostri simili; obbligati a rinunciare a svaghi o divertimenti che non siano di stampo autistico. Tutti i mezzi d’informazione che parlano solo di contagio e di morte. Proclami circa la “stretta” sui “furbetti”: persone descritte come bonari “scarafaggi”, un po’ immonde e con l’inclinazione a voler eludere la sorveglianza.
Il mondo della psicologia fa quello che può, elargendo consigli, spiegando i meccanismi dell’ansia e della frustrazione. Ma in questo sforzo di pacato adeguamento all’insostenibile peso del “civilmente corretto” ci siamo dimenticati il fondamentale ruolo liberatorio della sincerità. Siamo stanchi!
Stanchi di essere continuamente redarguiti per aver elemosinato briciole di libertà, stanchi di essere inondati di sole brutte notizie, stanchi di non vedere alcuna prospettiva davanti a noi.
È questo il momento in cui si può comprendere la differenza che un particolare stile di pensiero può fare rispetto a tali tribolazioni.
Ricordo, cari lettori, il motto che è scritto sulla pagina iniziale di questo sito: “una mente bella vive in un mondo bello”. Ne sono profondamente convinto: solo la bellezza può salvarci. Su cosa sia la bellezza ci sono tonnellate di testi di filosofia e di arte, ma il punto a cui tutti giungono è sempre lo stesso: la bellezza è uno stato del pensiero; gli occhi vedono ciò che la mente è in grado di vedere.
Dunque oggi voglio ricordare a tutti che dobbiamo imparare ad essere “designer” della propria mente e guidarla, con occhi sensibili, a saper vedere e ammirare la bellezza.
Vi condurrò in un viaggio, lungo un cammino ai confini della conoscenza, dove il forziere delle risorse migliori di ciascuno attende solo di essere scoperto e utilizzato.
LA STORIA DELLA MORTE DI ARTÙ
Tutti hanno sentito parlare della storia di re Artù, il leggendario condottiero britannico le cui gesta si collocano tra il V e il IV secolo. Si tratta di una storia originata da un insieme di leggende e folklore letterario. Come sempre nelle storie frutto di una sedimentazione culturale, i personaggi sono simbolo di dimensioni psichiche universali. I contenuti di queste leggende devono essere interpretati come indicazioni di comportamento virtuoso o come manifestazione simbolica di istanze psichiche.
La leggenda di Artù racconta di un condottiero valoroso, vincitore in numerose battaglie, re autorevole e capo carismatico di un gruppo di cavalieri, che sedevano alla nota “Tavola Rotonda”, luogo preposto alle decisioni importanti.
Questa identità valorosa e vincente costituisce una sorta di premessa alla parte più significativa della storia: la morte e la sepoltura di Artù.
Può apparire curioso che un eroe portatore di una tale aura di grandezza debba la sua fine ad una serie di oscuri tradimenti. La sua amata Ginevra, si narra nella storia, lo tradì con il cavaliere e amico prediletto Lancillotto. I due, dopo una serie di vicende, fuggirono insieme e Artù lasciò il proprio regno nelle mani di Mordred, altro fidato cavaliere della Tavola Rotonda, per inseguire e punire i fuggitivi. Mordred, a sua volta, fu autore di un tradimento nei confronti del suo sovrano, tentando di usurpargli il trono. Artù fu costretto a rientrare in Bretagna e si scontrò, in un’epica battaglia, con Mordred, sconfiggendolo ma restando, a sua volta, ferito a morte.
Se, tuttavia, analizziamo il significato metaforico di questa parte della storia, vediamo che la delusione per la fiducia tradita rappresenta un’esperienza inevitabile nella vita delle persone, la cui elaborazione possiede un importante valore di crescita.
Il re muore e, simbolicamente, vi è una battuta d’arresto nello scorrere del suo destino di valoroso condottiero. Ma quante volte ci capita di fare un’esperienza simile nel corso della vita? Quante volte dobbiamo sperimentare la dolorosa sensazione di non farcela a superare una prova che ci sbarra la strada?
Di nuovo la storia mitologica è simbolo di esperienze di vita dolorose ed inevitabili.
La storia prosegue dicendo che, dopo la sua morte, Artù fu sepolto sepolto in un luogo nascosto dell’isola leggendaria di Avalon, situata nella parte occidentale delle isole britanniche, essa stessa non presente sulle mappe e detta “Isola di Cristallo”.
La leggenda dice che egli risorgerà, qualora un grave pericolo minacci la Gran Bretagna, pronto a difendere la patria con i poteri magici della sua spada.
Questa parte del racconto è particolarmente ricca di enfasi ed evidenzia un’importante verità psicologica: abbiamo risorse nascoste nelle profondità del nostro animo ma che non sempre siamo in grado di raggiungere ed utilizzare. Capita, invece, che questo potenziale nascosto emerga nei momenti più difficili per aiutarci a superare le difficoltà.
Quindi se è esperienza inevitabile, nel corso di una vita, quella di sentirsi persi, è altrettanto vero che capiti, proprio in tali frangenti, di avvertire dentro di sé una misteriosa forza che ci viene in soccorso.
Questa forza, che giunge dalle profondità dell’animo, non sembra essere solo frutto di pensiero ma ha qualcosa di “numinoso”, come lo definisce Jung. “Numinoso” è un termine che si riferisce alla percezione di qualche cosa dotato di una forza che travalica l’esperienza umana.
Prima di parlare di come Jung spiega molti misteri della psiche, concentriamo la nostra attenzione su qualcosa di solo apparentemente diverso.
IL MISTERO INTORNO A NOI
A partire dalla metà del secolo scorso alcuni studi sulla fisica delle particelle elementari hanno dato l’avvio alla teoria della meccanica quantistica, le cui incredibili scoperte stanno ormai rivoluzionando il mondo della scienza.
Di quando in quando qualche sporadica notizia fa la sua comparsa sui telegiornali: si parla di incomprensibili esperimenti condotti sui “quanti” oppure della costruzione di potentissimi computer quantistici. Ma tutto questo sembra molto lontano dalla nostra realtà quotidiana. Forse non vi apparirebbe così se dicessi che le leggi quantistiche sono presenti nella nostra realtà, semplicemente si trovano ad un livello diverso da quello del nostro sguardo. Un po’ come se guardassimo solo la superficie del mare, ignorando l’esistenza di tutto il mondo sottomarino.
Il rapporto tra la nostra realtà visibile e il mondo dei quanti, con le sue leggi incredibili, non è semplicemente diretto lungo una linea che conduce all’infinitamente piccolo, ma rappresenta qualcosa di concettuale, in una qualche misura, di psichico.
Proviamo a cogliere questo scalino logico con l’aiuto di una metafora.
Alessandro Baricco, uno scrittore contemporaneo, commenta in questo modo il rapporto tra musicista e pianoforte:
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88. su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito.
Appare dunque qualcosa di particolare davanti agli occhi della nostra mente: finito e infinito sono legati da un misterioso rapporto; così come una linea e un cerchio, pur essendo entrambi segni sopra un foglio di carta richiamano concetti molto diversi.
CIRCOLARE E LINEARE
Come misuriamo il tempo? Avete mai pensato alla consistenza, per così dire, “materiale” del tempo? Gli antichi hanno iniziato a misurarlo osservando il mutamento della luce del giorno e delle stagioni. I primi a costruire strumenti rudimentali per misurare il tempo furono gli Egizi, mediante obelischi, e i greci, che realizzarono le prime clessidre ad acqua. Il sistema sessagesimale fu introdotto dai Sumeri XXI secolo a.c.
Lo scorrere del tempo rappresenta dunque una costante nell’esperienza umana sulla terra e la sua realtà concreta è costituita dalla misurazione che l’uomo ne fa. In un certo senso la misurazione lo identifica e lo rappresenta lungo una linea retta che si percorre in avanti, senza la possibilità di tornare indietro. Quindi, se dovessimo visualizzare gli episodi della nostra vita, dovremmo rappresentarli agganciati alla linea del tempo.
Molti di voi hanno sentito parlare di Stephen Hawking, uno dei più brillanti fisici teorici del mondo, scomparso recentemente. Tra i tanti aneddoti che si raccontano su di lui, uno in particolare ci interessa ai fini del nostro discorso. Pare che egli, in una conferenza tenuta quando ancora era solo un giovane e promettente ricercatore, abbia raccontato di un sogno, avuto quando era ragazzo e già si interrogava sulle origini dell’universo. Egli vide, in sogno, l’universo come una grandissima ruota fatta di frammenti luminosi che girava lentamente su se stessa. Raccontò di avere avuto la sensazione di aver visto cosa fosse realmente l’universo, come in una sorta di percezione allargata, ma , allo stesso tempo, questa visione sfuggiva alla capacità della mente di comprenderla.
Questo racconto ci mostra una lettura dello spazio-tempo molto differente da quella che percepiamo e sperimentiamo giornalmente. L’immagine che la identifica è il cerchio. Provate per un attimo a pensare se la nostra linea del tempo fosse curvata fino a costituire un cerchio. Questa figura ha un tempo zero: rappresenta l’infinito.
Potrebbe sembrare, a questo punto, che ci stiamo divertendo a costruire castelli in aria ma invece la cosa è più seria di quello che appare a prima vista.
IL MANDALA
La figura del cerchio, con significati simbolici e religiosi, è presente in tutte le culture del mondo, spesso indicata con la parola sanscrita che la descrive: mandala.
L’idea del cerchio come qualcosa dotato di speciali poteri è presente fino dagli albori della storia. La prima rappresentazione di questo tipo conosciuta è la ruota del sole, risalente al paleolitico. Nel neolitico ritroviamo numerosi cerchi di pietra, di cui quello più famoso è Stonehenge. Direttamente correlate con la figura del cerchio sono le spirali, anch’esse sono figure mandaliche rappresentate in vari modi nelle culture di tutto il mondo. Un esempio famoso è l’Uroboro, un serpente che morde la sua stessa coda, che ritroviamo dall’Egitto all’antica Cina e in un’infinità di altre culture di popoli sparsi per il mondo. Secondo la tradizione alchemica l’Uroboro è un simbolo palingenetico, cioè rappresenta il ciclo della vita: letteralmente “che nasce di nuovo”.
Del resto anche il concetto di rinascita è presente in tutte le culture del mondo, si pensi, a titolo di esempio, al mito della fenice. Banalmente conosciamo la definizione della fenice come l’uccello che rinasce dalle proprie ceneri, ma la storia è più complessa ed affascinante.
Si narra, infatti, che la fenice, quando giunge al termine del suo ciclo vitale, si chiude dentro ad un nido a forma di bozzolo che ella stessa costruisce. A questo punto i raggi del sole incendiano il bozzolo fatto di rametti di mirra e piante balsamiche fino a ridurre tutto in cenere profumata. Il mito dice che da queste ceneri si genera un uovo, altro simbolo che ha a che vedere con la circolarità, e che questo, scaldato dai raggi del sole (che è un cerchio di fuoco nel cielo), si schiude dando vita ad una nuova fenice.
Dunque, se non lo avevate notato prima, siamo circondati di simboli che spesso riconducono al cerchio e, dunque, all’idea di circolarità. Ma questi simboli non sono solamente presenti nelle culture dei popoli ma si trovano anche in natura e rispondono a precise leggi matematiche.
Ne parleremo nei prossimi articoli.
ⒸFederico Milione – mindesigner.it